Nove anni di lavori, dal 1906 al 1915, furono necessari perché l'acqua arrivasse a Bari. Altri 9 perché raggiungesse Foggia, dodici perché raggiungesse l'estrema punta salentina.
Basta qualche cifra per dare la misura di cosa sia oggi l'Acquedotto Pugliese. La rete idrica ha una estensione di 20.000 chilometri (30 volte la lunghezza del Po) e serve più di quattro milioni di persone.
Ancora qualche numero: 5 impianti di potabilizzazione, 328 serbatoi con capacità di stoccaggio di tre milioni di metri cubi.
Come si arriva a creare una disponibilità di tali dimensioni?
Anzitutto con le sorgenti Sele e Calore.
Da queste parte il Canale Principale, spina dorsale storica dell'intero sistema idrico. Ma non di sole sorgenti è fatta l'acqua che scorre nelle condotte dell'Acquedotto. Con il passare dei decenni le fonti primarie si sono rivelate meno in grado di soddisfare il fabbisogno crescente e da qui l'esigenza di ricorrere agli invasi, che oggi forniscono i due terzi della portata complessiva del sistema idrico pugliese. Se l'acqua di sorgente può essere immessa al consumo così come sgorga, per le acque degli invasi occorrono processi di potabilizzazione raffinati e ad alta tecnologia.
Una tappa successiva è rappresentata dai cosiddetti nodi idrici, ossia punti di convergenza di condotte di adduzione e di distribuzione che raccolgono e smistano il flusso da e per le diverse destinazioni.
Il lungo viaggio dell’acqua non termina nelle nostre case. Da qui, attraverso un complesso sistema di fognatura (oltre 12.000 chilometri di rete gestita) i reflui delle abitazioni vengono raccolti negli impianti di trattamento dove, al termine di un accurato processo di depurazione e sanificazione vengono finalmente restituiti all'ambiente.