Una lettera al re
Nel 1791, l'economista Giuseppe Maria Galanti scriveva a Ferdinando IV di Borbone, re di Napoli e della Sicilia, che lo aveva mandato in viaggio per accertare le condizioni economiche e sociali del regno: "Sire! Grande ruina è qui in Puglia la scomparsa dei boschi. Qui non vi è altra acqua se non quella che cade dal cielo. Mal distribuita nel tempo la pioggia si racchiude in pochi giorni e non trovando trattenimento sul monte ruina giù con prepotenza. Le paludi che si creano nelle piane sono malsane. Da Otranto a Brindisi e alla distrutta Egnathia le acque sono stagnanti. Presso le foci del Fortore a Lesina, a Varano, a Vieste e fin sotto Manfredonia si respira la morte. Per emendare i disordini naturali del regno tre grandi cose debbono mandarsi ad effetto: far scorrere le acque ristagnanti per restituire alle pianure e alle coste salubrità e vita; rivestire di selve e piantagioni i monti e i luoghi laddove si crederanno necessarie e giovevoli; supplire con dei serbatoi all'aridità di alcune regioni vaste della Puglia".
E al re che gli chiedeva cosa fare, Galanti rispondeva: "Sire, è la stessa esperienza dei tempi antichi che ci indica quel che v'è da fare. Gli antichi nostri maggiori non risparmiavano spese per avere buone acque potabili. Dove non si potevano ottenere per mezzo dei pozzi, se la procuravano di lontano con acquedotti murati che costruivano con molta arte".