La ciclovia dell’Acquedotto Pugliese, il grande fiume della Puglia
Chi conosce i comuni di Cisternino, Ostuni, Martina Franca, Ceglie Messapica, passando per Alberobello e Locorotondo, o arrivando direttamente dalla Selva di Fasano, sa che siamo al centro della Puglia. Possiamo dire, nel cuore della Puglia, sapendo che ci troviamo nel punto più bello dell’intera regione, a cavallo di tre province, Bari, Brindisi e Taranto. Un crocevia meraviglioso, fatto da una campagna frammentata, suddivisa in piccole proprietà, come si usava tramandare ed ereditare nella civiltà contadina. Un insieme di contrade. Un comprensorio unico, irripetibile nella sua straordinaria bellezza ambientale e nella sua ricchezza culturale fatta di antiche tradizioni mantenute vive e tramandate. Il costone murgiano che l’attraversa, i continui sbalzi del terreno che lo segnano, sono delimitati da muri a secco che oltre a delimitare le proprietà, bloccano il terreno e accolgono ciuffi di preziosi alberi di leccio, di fragno che con il loro intenso verde offrono spazio agli uccelli per nidificare e ombra a quanti decidono di fermarsi in sosta proprio alla fresca ombra di alberi maestosi e piccoli che delimitano la recinzione dei campi.
Ma, la bellezza di questo vastissimo territorio, è fatta dai tanti appezzamenti che o sono coltivati a vigneto dai lunghi filari, o da ampi spazi adibiti a seminativo per produrre il foraggio necessario agli animali che qui vengono allevati. Una campagna fertile che si alterna ad ampi, fitti boschi dove è possibile, nella stagione delle piogge, sempre molto attese, andare per funghi. Sono gli ulivi secolari che danno, che sprigionano fascino a chi li osserva, modellati come sono dal vento e dal tempo. E quei tetti in pietra dei coni, dei trulli che coprono le dimore dei contadini o di quanti qui decidono il bel ritiro o le vacanze nuove, immersi nelle tradizioni popolari e negli odori di una cucina fatta di aromi, di erbe, di ortaggi cresciuti o coltivati nell’orto di famiglia. Ci sono ancora anziane nonne che raccontano di antiche credenze, di erbe terapeutiche che guariscono dolori e preoccupazioni, affanni e ansie, stress e fatiche che questa campagna, magicamente, allevia.
Bisogna sentirlo lo stridio delle cicale, la calura del sole, il caldo delle ristoppie dei campi già mietuti, la polvere che si alza quando il vento insiste per portarsi via le nubi che invece qui servono proprio come… l’acqua.
Sì, l’acqua, quella che a questa lunga regione è sempre mancata perché il terreno carsico ha inghiottito i suoi fiumi. Le grotte di Castellana Grotte lo testimoniano.
E pensare che sotto la lunga e stretta strada bianca che taglia i boschi, le campagne, gli appezzamenti di terreno, proprio sotto i tuoi piedi, lungo la strada che percorri a piedi, o in bici, o a cavallo, scorre in lieve pendenza un fiume d’acqua. Non è un miraggio: è proprio un fiume, partito da molto lontano. E qui arriva lentamente, sospinto da una lieve pendenza, ben calcolata e ben sfruttata, per arrivare fino in fondo, fino alla cascata ai piedi del Santuario della Madonna De Finibus Terrae, a Santa Maria di Leuca (LE).
Si sa che la prima chiesa fu costruita agli albori del cristianesimo. Preesisteva un tempio dedicato alla dea Minerva. Un tempio pagano sulle cui rovine oggi è costruita una nuova chiesa più volte preda di saccheggi e distruzioni di Turchi e Saraceni. Ma, a Leuca, torneremo. Anzi, arriveremo anche noi lentamente, come lentamente la raggiunge l’acqua che parte da Caposele (AV), dalle Sorgenti della Salute. Sorgenti che la devozione popolare continua a venerare perché la Madonna non si stanca di far sgorgare ai piedi del monte Paflagone quell’acqua che l’ingegno umano ha dirottato dal Tirreno all’Adriatico, allo Jonio, mari che qui si congiungono ai piedi di quella Vergine benedicente, dall’alto della colonna che affianca il potente faro. Accoglie e consola quanti a Lei si affidano.
Ma, torniamo nella Valle d’Itria. A due metri e mezzo di profondità, sotto il bianco manto stradale, una condotta d’acqua, scorre e arriva fin dove l’acqua era solo quella raccolta nei pozzi costruiti accanto a quei tetti in pietra dei trulli. La pioggia era ricchezza per i campi e per i pozzi, per le persone e per gli animali. Solo le piogge garantivano una riserva d’acqua e le cisterne erano tenute con cura, protette, perché non fossero invase da animali, insetti, erbacce. Intere, lunghissime generazioni hanno avuto cura di custodire, di preservare l’acqua piovana per i bisogni primari. Pensare che noi l’abbiamo apprezzata e gustata, fresca, come alla sorgente, poco più di solo cento anni fa.
Una regione e un popolo assetato “di acqua e di giustizia”, di civiltà, di sviluppo, di vita. Un incredibile ingegno, una forte volontà e una grande capacità lavorativa affidata a migliaia di braccia e di intelligenze hanno realizzato qualcosa che è necessario vedere per capire, per apprezzarne la portata, il valore, la grandezza. Un’opera che oggi, ulteriormente valorizzata, ci dà la possibilità di poter utilizzare come ciclovia, da podisti, ciclisti, atleti di tutte le età, da interi gruppi familiari. Il suo è un percorso cicloturistico e idoneo anche ad escursioni. E’ lungo 500 km e corrisponde esattamente al tracciato di due grandi condotte di Acquedotto Pugliese.
Percorsi ormai storici, costruiti in tempi rapidi che ci lasciano stupiti, pensando ai mezzi tecnici di cui si disponeva cento anni fa. Non osiamo paragonare ai tempi di realizzazione di opere pubbliche di cui oggi abbiamo bisogno, pur facendo grande uso di tecnologie avanzate. Il Canale Principale, parte da Caposele (AV) e arriva a Villa Castelli (BR): in soli nove anni (1906-1915) portò l’acqua a Bari. Il Grande Sifone Leccese, parte dal punto terminale del primo e giunge fino a Santa Maria di Leuca (LE).
L’opera è solennemente celebrata con una cascata monumentale realizzata nel 1939, recentemente restaurata. Lungo il suo percorso, gallerie, ponti, anfratti, boschi, foreste, campi di tutte le dimensioni ben coltivati, anfratti vari, attraversamenti viari, attraversamenti di centri abitati, fanno scoprire la bellezza del territorio che veste un abito sempre nuovo in ogni stagione, dalla freschezza dei colori della primavera che si tinge di bianco con i mandorli e i ciliegi, alla magia dei colori dell’autunno con le infinite tonalità di rosso e di giallo delle foglie della vigna. Lunghi filari già raccolti, lentamente si spogliano per accogliere anche la neve che a volte si fa viva. E senti nell’aria, nei pressi delle case, l’odore del mosto che fermenta per farsi vino. Non hai bisogno di camminare tanto o di pedalare forte. Devi lasciarti andare e pensare che con te lo fa anche l’acqua, proprio sotto i tuoi piedi e che non si stanca di impiegare cinque giorni per arrivare all’ultimo paese da servire. La ciclovia offre servizi lungo il tragitto: fontanine d’acqua, bicigrill per i buongustai che si sono ben organizzati, spazi attrezzati per godere ombra, aria pura, buon arrosto e acqua fresca. Acquedotto Pugliese ben valorizza il percorso originario adibito a strada di servizio del Canale Principale. E’ relativamente recente l’idea della Regione Puglia di realizzare (2008) questa Via Verde che l’AREM (Agenzia Regionale per la Mobilità della Regione Puglia) con adeguati finanziamenti ha reso ben fruibile in questi primi 15 km. L’impegno di Girolamo Russo, Responsabile dei vari lotti dei lavori fatti da AQP, rende merito al lavoro fatto con viva dedizione da progettisti e responsabili dei progetti, fra cui Girolamo Vitucci e Massimo Pellegrini, Responsabili del Procedimento. L’interesse ciclabile ed escursionistico che qui si può vivere, è di livello ed è di pari standard europeo. Soprattutto è di sicuro interesse turistico.
Forse sono i figli di tanti italiani emigrati in tutta Europa, in tanti anni, che tornano sui luoghi del cuore, nei campi che i genitori hanno raccontato loro. Vengono per ritrovare radici mai perse, gelosamente custodite nei ricordi del cuore, pronti a riprovare l’emozione racchiusa in ricordi mai sbiaditi, in profumi lungamente ricercati e ritrovati all’ombra di antiche chiesette rurali o nelle aie nelle quali con l’asino, la mula o il cavallo si ricavava il grano dalle spighe prima che le trebbie non hanno sostituito questo antico rito.
“La Ciclovia di Acquedotto Pugliese, ha detto Giannicola D’Amico, Presidente del GAL Valle d’Itria, a volte costeggia ancora evidenti tracciati dell’antica rete viaria di questo incantevole territorio: un sistema di antichissime mulattiere e di passaturi, l’antica rete viaria che metteva in contatto casali, masserie, contrade, jazzili, mai abbandonati e che tutt’ora, per chi abita nelle contrade, è di grande utilità, nonostante la nuova viabilità realizzata. Indubbiamente la Ciclovia di Acquedotto Pugliese ha elevato l’interesse e la fruibilità dell’intero territorio, visto che lo percorrono in lunghissimi tratti ciclisti e turisti. L’architettura rurale e i paesaggi naturali che caratterizzano il nostro territorio sono un patrimonio che intendiamo salvaguardare e valorizzare. Siamo certi che AQP e la Regione Puglia ci sosterranno in questo nostro impegno. Possiamo realizzare iniziative comuni che possono portare al completamento della valorizzazione dell’intero percorso dell’acqua per offrirlo soprattutto ai tanti emigranti e ai tanti turisti, sportivi e non, che tornano qui, a rivivere i ricordi tramandati dai loro antenati”.
C’è nel Canto dell’emigrante, una poesia di Serena Carestia, premiata in un concorso internazionale di poesia promosso dall’Associazione Il Paese delle Contrade di Locorotondo, presieduta da Paolo Basile, il ricordo struggente e sobrio che dice “Non so più se lassù c’è ancora / il fragno che sorreggeva la luna / sull’antica data della casedda / e sulle storie incastrate a pietre / evocanti miracoli e numi fossili.” E parla di “alfabeto di trulli, contrada allagata dal sole”: mai l’acqua è stata cantata nei nostri territori. E’ sempre stata tanto desiderata anche in questa “fiaba di nome Valle d’Itria” che “si disseta di pioggia”.