Dall'errore al rimedio, dallo scarto al riuso. Il tutto, in nome di una seconda opportunità: questa la filosofia di “Made in Carcere”, il progetto di accompagnamento dei detenuti nel loro percorso di rieducazione e reinserimento sociale attraverso laboratori di sartoria e confezionamento. Un marchio, un lavoro, un luogo di ritrovo fisico, che supera barriere e limitazioni, ma anche uno spazio per la mente e per il cuore, all'interno del quale tutti ritornano ad essere uguali; ad essere umani. Nella famiglia di Made in Carcere, detenuti e detenute riprendono ad essere semplicemente uomini, donne, persone, così come i materiali di scarto delle attività umane ritornano ad essere vivi, protagonisti di una nuova stagione della loro storia. Nuovi, appunto. Nato a Lecce nel 2007 da un'idea di Luciana Delle Donne, fondatrice della cooperativa senza scopo di lucro Officina Creativa, il marchio Made in Carcere raccoglie sotto di sé la produzione di manufatti “diversa(mente) utili”: articoli di abbigliamento, borse e altri accessori, originali e colorati. Articoli definiti dagli stessi referenti di Made in Carcere come prodotti “utili e futili”, confezionati da donne e uomini detenuti, ai quali viene offerto un percorso formativo e professionalizzante, con lo scopo di un definitivo reinserimento nella società lavorativa e civile. In questo modo, Made in Carcere prova, ogni giorno, a contaminare la società economica e civile, attraverso la promozione e la diffusione di un innovativo modello di economia circolare e rigenerativa.
Un modello di impresa etica, basato su principi di rigenerazione e consapevolezza delle persone che vivono in una condizione di emarginazione, a tutela dell'impatto ambientale e dell'inclusione sociale, determinando così nel tempo un cambiamento sistemico su tutto il territorio. Protagonisti del processo sono donne, uomini e minori in stato di detenzione o sottoposti a limitazioni della libertà personale, che quindi vivono una condizione di disagio e marginalità. È a loro che viene offerta l'opportunità di acquisire delle competenze tecniche e professionali, per poi proseguire nel lavoro e percepire un regolare stipendio ma soprattutto costruire e rinsaldare la propria personale consapevolezza e dignità. Il ciclo economico e produttivo messo in opera dallo staff e dai protagonisti di Made in Carcere è basato sulla caratteristica fondamentale dell'auto-sostegno, in un regime di libera concorrenza: ciò che conta, in questo sistema, non è solo la mera capacità produttiva, ma la stessa capacità di supporto alle relazioni umane nonché l'attenzione alla salute dell'ambiente, attraverso il recupero di sfridi e materiale tessile scartato dalle imprese che, invece di prendere la via degli inceneritori, diventa materia prima per la lavorazione in carcere. Ecco che si delinea, così, l'etica della seconda opportunità per gli uomini e le donne e della doppia vita per i tessuti. Un messaggio di speranza, concretezza e solidarietà che è veicolato attraverso la chiave di lettura dell'ironia, della semplicità e della creatività. Queste le caratteristiche che denotano i prodotti Made in Carcere e, prima di loro, gli uomini e le donne dalle cui mani nascono questi capolavori di solidarietà. Il progetto, che si ramifica su tutto il territorio pugliese attraverso numerose sedi territoriali, rappresenta ormai uno dei capisaldi delle tantissime attività di rieducazione dei detenuti proposte all'interno della casa circondariale di Lecce: “All'interno del carcere salentino c'è un grande impegno da parte della direzione, della polizia penitenziaria e degli operatori volontari, affinché i progetti realizzati siano veramente utili al riscatto del detenuto – spiega, infatti, la stessa direttrice Maria Teresa Susca, che prosegue – crediamo nel reale valore di queste attività, che sono tante e che hanno la caratteristica di ricreare all'interno del carcere le condizioni che le persone coinvolte ritroverebbero al di fuori.
Questa – prosegue – è la base solida su cui poggia il reale processo di redenzione, che passa dalla rieducazione e dal reintegro all'interno di relazioni interpersonali, preludio al vero e proprio reinserimento sociale”. Un processo che, ricreando un ambiente speculare ad un reale contesto lavorativo, contribuisce al processo di costruzione di una nuova consapevolezza per il detenuto e al raff orzamento della sua dignità di persona, a prescindere dal reato commesso e dalla pena che è chiamato a scontare. “Da questi percorsi professionalizzanti si raccolgono sempre degli ottimi frutti – racconta, ancora, la direttrice Susca –. I risultati si vedono sotto più fronti e punti di vista: i detenuti, innanzitutto, imparano o tornano ad abituarsi al rispetto delle regole, della routine lavorativa, dei ruoli all'interno di un gruppo di lavoro. È inevitabile che, per gli stessi detenuti, tutto questo abbia ricadute positive sull'impegno e sulla visione di una vita sana e nel rispetto della legge e delle regole del vivere civile”. Una macchina da cucire come arma di redenzione di massa, dunque, all'interno di un contesto in cui l'attenzione si posa sull'inedito e originale concetto di “Bil – Benessere interno lordo”: è questo il titolo di uno dei tantissimi progetti che rientrano nel contenitore di Made in Carcere e che, sostenuto da Fondazione con il Sud, vede coinvolte 65 persone in stato di detenzione e 8 partner di progetto dislocati in 3 Regioni del Sud Italia – Puglia, Campania e Basilicata. In questi territori, Offi cina Creativa vuole replicare il modello di “economia rigenerativa” sviluppato attraverso il brand sociale Made in Carcere, creare nuovi posti di lavoro, trasferire le proprie competenze e la propria esperienza ad altre cooperative ed associazioni e valutare l’impatto sociale che queste attività generano su più livelli – individuale, comunitario ed ambientale.
È online il sesto numero del 2023 della rivista L’ Acquedotto