Nel cuore dell'Alta Murgia, ad Altamura, si respira l'essenza della tradizione, tessuta con le mani laboriose e la dedizione in ogni impasto. Il pane è il protagonista di una narrazione che attraversa i secoli, portando con sé il profumo di un tempo antico. Si racconta che persino Orazio nelle Satire del 37 a.C., evocando i paesaggi dell'infanzia, avesse celebrato il miglior pane, descrivendolo un compagno di viaggio imprescindibile per il viaggiatore diligente. Plinio, a distanza di tempo, avrebbe usato termini simili per descrivere la stessa bontà che il pane di Altamura regala. Risalgono agli Statuti Municipali del 1527 i primi scritti ufficiali delle attività di panificazione.
Il pane è immortalato nelle foto d’epoca, quando veniva portato a spalla dai garzoni su un’asse di legno oppure nelle ceste delle massaie dirette verso i forni pubblici, custodi di una tradizione che trova la sua forza nel territorio. Questo pane che dura per giorni e si accompagna al pomodoro fresco e all’olio extravergine degli uliveti murgiani è stato nel tempo il principale alimento per le famiglie numerose e per coloro che lavoravano la terra e governavano le greggi. Una religione gastronomica, ma anche un alimento anti-spreco. Dopo qualche giorno, quando non era più fresco, si preparava in inverno la cialledda calda (pomodoro ciliegino, cipolla, olio extravergine di oliva, peperoncino, rape, patate) e d’estate la cialledda fredda (pomodoro ciliegino, cipolla, origano, olio extravergine, alloro, sedano, basilico, timo). Da prodotto quotidiano a simbolo di identità e benessere, ha avuto il potere di trasformare l'economia di Altamura con 70 mila abitanti e 90 forni. Ha varcato negli anni i confini nazionali, arrivando a raggiungere 23 Paesi di tutto il mondo dall’Australia agli Stati Uniti, da Singapore alla Cina.
Mollica soffice e crosta croccante. Pane alto, accavallato (u’ skuanete), pane basso, largo, oppure con un taglio esagonale tale da conferirgli l'aspetto del tradizionale cappello di un prete (cappidd d’prevte). Cinque sono le fasi che coprono il ciclo di preparazione: impastamento, formatura, lievitazione, modellatura e cottura nel forno a legna. Il segreto, però, risiede nel lievito madre, il cuore pulsante e l’unicum del pane altamurano. Un'irripetibilità che si manifesta attraverso l'aria, il clima, l'incidenza batterica e l'acidità. Semola rimacinata di grano duro e lievito madre, acqua e farina sono chiavi di un equilibrio impossibile da replicare altrove. È un'esperienza sensoriale e culturale che Altamura, città dell’Uomo di Neanderthal più antico d’Italia e delle orme dei dinosauri, custodisce gelosamente. In questo connubio di ingredienti, si rivelano le tracce di un'eccellenza legata al territorio, tanto che il marchio Dop (Denominazione di origine protetta) ne diviene la firma. Il suo rigido disciplinare veglia su una tradizione che si tramanda da generazioni. La semola di grano duro ricavato dalla macinazione di grani duri (varietà appulo, arcangelo, duilio, simeto) è prodotta in un territorio delimitato che comprende i Comuni di Altamura, Gravina di Puglia, Poggiorsini, Spinazzola, Minervino Murge (almeno l’80%), mentre per la restante quota è previsto l’utilizzo di altre varietà, sempre coltivate sul territorio. L’acqua da utilizzare nell’impasto, come previsto dal disciplinare, è quella dell’Acquedotto pugliese.
Ha un ruolo fondamentale, tanto che, a seguito di studi meticolosi, ne sono stati definiti i parametri. Per celebrare i 20 anni di questo riconoscimento il Consorzio del Pane di Altamura Dop, dal 16 novembre al 16 dicembre 2023, ha allestito, al Monastero del Soccorso, la mostra “Pani d’Italia”. Un’esperienza sensoriale attraverso gli odori delle tante e diversificate varietà di materie prime utilizzate nella produzione dei pani tradizionali, molti dei quali accomunati - come il “pane di Altamura DOP” – dall’impiego del lievito madre e dal tipo di cottura negli antichi forni a legna. Sono state esposte le forme di pane DOP, IGP, PAT e presidi Slow Food delle venti regioni d’Italia, corredate da gigantografie i cui originali provengono dagli Archivi Alinari. Un ideale viaggio dal Sud al Nord: quello “materico” rappresentato dalle forme di pane, prodotte dai mastri panificatori nei luoghi d’origine e poi il livello “narrativo”: ogni forma, infatti, è stata corredata di un breve testo evocativo della trazione dei territori e delle comunità di appartenenza. E per concludere, quello iconografico con l’installazione Nel nome del pane di Wanda Fiscina: tredici terrecotte con smalti che hanno riproposto le forme tradizionali del pane di Altamura e dei pani più diffusi sul territorio nazionale. Questa prelibatezza artigianale trova la sua casa nel Museo del Pane, all’interno di uno dei più antichi forni di Altamura (risalente al 1300 come dimostrato dai documenti di compravendita).
La prima esperienza museale, legata al pane, in Puglia. Situato a breve distanza dalla maestosa Cattedrale di Santa Maria Assunta, questo museo non è solo un tributo agli antichi fornai di Altamura, ma un autentico "luogo dell'anima". Non è un museo statico, ma un vivace centro culturale che si integra perfettamente nel tessuto della città. Oltre a essere un richiamo per gli amanti del pane e della storia locale, è la pietra angolare nella promozione turistica e gastronomica del territorio. L'architettura stessa in cui è immerso questo luogo è un contenitore che amplifica l'esperienza dei visitatori. Si anima di studenti e di turisti in un'esperienza visiva e gustativa che si traduce in crepitii di forni, mani in pasta, pani di tutte le forme allineati sugli scaffali. Qui, i cinque sensi vengono sollecitati simultaneamente, permettendo ai visitatori di immergersi completamente nel processo di panificazione.
Al termine di questa esperienza, il museo non solo offre un assaggio di prelibatezze locali, ma dona al visitatore un ritratto vivido e appassionato del territorio, dei suoi abitanti e dei sapori e delle radici culturali che lo animano. Il pane di Altamura per cui è stato avviato l’iter per la candidatura a Patrimonio Immateriale dell’UNESCO rappresenta un’eredità gastronomica, culturale e sociale, da proteggere e da tramandare. Senza dubbio l’identità di questa comunità.